Non guardare l’orologio è il mio atto di ribellione. NON AVERE FRETTA, Il lusso della nostra era targata Duemilasedici.

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Non guardi mai l’orologio! Questo è il rimprovero che il padre dei miei figli, Simone, mi fa continuamente e, vi dirò, ha ragione.
Per chi mi conosce, sa che ho l’ascendente in vergine non a caso: sono perfettina e ho la sindrome della brava bambina. Se c’è una regola, io la rispetto. Odio essere in ritardo, eppure mi capita di esserlo, ahimè! Le mie cose hanno sempre un loro ordine preciso: quando vivevo ancora con i miei, per esempio, e mia sorella prendeva qualcosa di nascosto dall’armadio, immancabilmente me ne accorgevo subito. Giuro! Senza ricorrere a trucchetti stile C.S.I. Semplicemente perché lei, spostava qualcosa in modo quasi impercettibile. Quasi.
Eppure sono anarchica e ribelle anche io. Come? No, piuttosto con cosa: il tempo, appunto.
Non guardare l’orologio è il mio atto di ribellione.



Un’anarchia temporale iniziata dal giorno in cui ho smesso di lavorare, essendo entrata in maternità per l’attesa di Mattia. Calcolando che, attualmente, vanto un parto all’anno, in effetti non metto piede in ufficio e quindi, non guardo l’orologio da un po’ di tempo.
Tempo. Eccolo di nuovo lui.
Dovete sapere che mia professione, come molte altre del resto, è decisamente scandita dalle lancette dell’orologio. Lavoro in un call center, per cui potete immaginare: il tempo della chiamata che deve essere di tot minuti, il tempo entro cui gestire un tot di email, il tempo in cui chiudere un tot di reclami. Il tempo della pausa e del pranzo. Essendo a sei ore, le mie sono due pause da un quarto d’ora l’una. Una ogni due ore circa. Si corre e si rincorrono queste lancette all’infinito. Tic tac tic tac. Quando poi esci da lì, continui a correre: per prendere il bus, per fare la spesa, per preparare la cena, per mettere in ordine, per tuffarti nel letto. Stop. Questo prima di diventare mamma e di fermarmi per un po’ a casa.
All’inizio senza rendermene conto, dal giorno in cui ho smesso di andare in ufficio, ho incominciato a fregarmene di correre. O forse, corro ancora, ma a caso: posso pulire i pavimenti alle otto del mattino, come alle cinque del pomeriggio. Posso uscire a fare la spesa alle due e rientrare alle sei.
Simone è fuori casa tutto il giorno e rientra per cena. Fino ad allora, i tempi della giornata li detto io.
No, non è vero: li dettano i miei figli e se guardi loro, il loro punto di vista, ecco che il tempo diventa prezioso e la parola d’ordine “non avere fretta”.

N  O  N    A  V  E  R  E    F  R  E  T  T  A.

Il lusso della nostra era targata Duemilasedici.

Quante volte mi sono ritrovata a dire “dai Matty muoviti che dobbiamo andare”, senza avere la pazienza di aspettare cinque minuti in più, perché potesse scegliere la macchinina che voleva con sé quel giorno? Quante volte ho sbuffato insofferente, perché invece che farsi vestire, lui voleva correre e nascondersi sotto il letto per giocare? Quante volte gli ho fatto accelerare il passo perché “sennò facciamo tardi”? Troppe. Eppure, anche adesso che sono ancora a casa in maternità per Amalia, anche adesso che vengo continuamente incolpata di non guardare l’orologio e nemmeno le previsioni meteo (notoriamente faccio mille lavatrici quando sono previste forti piogge), anche adesso che credo di essere anarchica, in realtà continuo a essere schiava del tempo. Lo siamo tutti, perché la società in cui viviamo ci mette fretta. 

Basta guardarci all’interno di un supermercato: due minuti di coda alla cassa e già diamo di testa, sbuffiamo e ci chiediamo a voce alta e un po’ detto tra i denti: “perché non apre l’altra cassa?”. Oppure alla fermata dell’autobus. Stamattina io stessa, guardando gli orari e vedendo che prima di dieci minuti il nostro “36” non sarebbe arrivato, ero insofferente. Dieci minuti persi? Non sia mai! Vado a piedi! Aspetta, però! Il tempo che ci metto ad arrivare con le mie gambe, è lo stesso dell’attesa. Facciamo che mi siedo e mi bacio la testolina di Ami che è qui in fascia abbracciata a me. Dieci minuti alla fine, volano!
Ecco quei momenti di lucidità che ogni tanto mi prendono, in cui mi chiedo: ma dove corriamo tutti così di fretta? Fissiamo un punto (ufficio, spesa, appuntamento, scuola, dottore) e basta non si guarda altro. Se fosse un’immagine tratta da un film, l’effetto sarebbe questo: io ferma in piedi e dietro mille cose che scorrono veloci.
Come faccio a scappare da tutto questo? Mi salvano i miei figli.
Prendo per mano il mio piccino, Amalia ancora non cammina, quindi stretta a me in fascia e incomincio a guardare la vita con i loro occhi, con i loro tempi. E’ così che vedo davvero il mondo. Per la seconda volta nella mia vita. La prima nella mia infanzia.

Visto come ti frego tempo?



Se volete vi posso dire quante Peugeot ci sono nella mia via e anche quante Smart, quante Audi e quante Mini. Posso dirvi quanti alberi, che il cielo stamattina era di un blu intenso, che nelle strade asfaltate che calpestiamo tutti i giorni, rischiano la vita milioni di formiche e  insetti. Che la signora del panificio ha cambiato colore di capelli, che i bus sono arancioni e che la linea prima dei binari è gialla come il limone o la banana. Posso anche dirvi che rincorrere i piccioni per farli spaventare, è divertentissimo (sì, un po’ meno per loro lo so). Posso raccontarvi di quanto sia bello guardare insieme un fiore sbucato per caso in mezzo all’asfalto. Di come sia incredibile accucciarsi in un angolo per guardare partire la funicolare che da casa ci porta in centro, Sì, guardarla partire senza salirci sopra, anche se è mezzogiorno, fa caldo e si ha una fame pazzesca e le brave mamme sarebbero già a casa a preparare un gustosissimo pranzetto, mentre io, invece, siccome non guardo mai l’orologio, devo ancora fare la spesa e decidere cosa cucinare. Tanto faccio presto.
Posso anche farvi notare che il cartello stradale caduto per terra ieri, oggi era bello dritto in mezzo al parcheggio, (Mattia riesce sempre a sorprendermi, è un osservatore attentissimo).
Tutto, qualsiasi cosa con loro diventa una scoperta incredibile. Alcuni giorni possiamo uscire di casa alle quattro del pomeriggio e rientrare a casa alle sette di sera, avendo fatto semplicemente il giro del quartiere.

Perfetto. Il dono incredibile di poter assaporare la vita. Ancora per qualche mese, poi si rientra al lavoro.
Eccola la mia parte anarchica, quella vera, senti come si ribella, come scalpita, come urla no, non ci sto. E’ abituata bene sino adesso, è stata molto fortunata. Ora che ha assaporato la libertà, come farla rientrare nei ranghi?
Il tempo inesorabile scorre, possiamo rincorrerlo quanto vogliamo, lui non ci aspetta.
Possiamo solo fare una cosa: rallentare un pochino per non perderci nulla delle cose meravigliose che la vita ci offre. Mischiare un po’ le prospettive: quella di adulto scandita dalle lancette, tic tac tic tac tic tac e quella di bambino, che va dove gli pare, che scopre con un “oh”, ciò che di meraviglioso la vita ci offre ogni giorno sotto i nostri occhi. La semplicità, per esempio.
Guardo l’orologio: devo andare, tra poco Mattia esce dall’asilo.

Colonna sonora del post: Calcutta - Oroscopo (feat. Takagi & Ketra)

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