Cosa temono le donne del parto?

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Quali sono le paure delle donne sul parto?



Oggi il parto non rappresenta più uno spauracchio perché la sicurezza per mamma e neonato è quasi totale. A questo ha contribuito molto il lavoro del medico ungherese I. Semmelweis (1818-1865), che si è accorto dell’importanza dell’asepsi da parte dei medici che visitavano le donne. Come hanno iniziato ad usare strumenti e materiale sterilizzato, si sono notevolmente ridotte le febbri puerperali che costituivano uno dei maggiori pericoli per la puerpera.
Eppure anche nel XXI secolo la donna che deve partorire, anche se razionalmente affronta la situazione con tranquillità e conoscenza di quello che vivrà, difficilmente nega di provare una certa apprensione per il parto. A stimolarla spesso contribuisce il racconto di esperienze traumatizzanti vissute da altre donne; se poi questo è fatto dalla propria madre i motivi di condizionamento diventano ancora maggiori!

Cosa temono le donne del parto?


Poter vivere con serenità il proprio parto e condividerne gli aspetti positivi costituisce un aiuto importante che si può facilmente dare alle altre donne. Purtroppo invece, troppo spesso (persino a certi corsi di preparazione al parto!!!) si tende a enfatizzarne gli aspetti legati a qualche problematicità, col risultato di aumentare le situazioni per cui la donna può angosciarsi.
Bisogna comunque distinguere una normale apprensione per un evento sul quale non si ha possibilità di controllo, dal terrore che certe donne hanno per il parto, che le induce a richiedere un cesareo anche quando non sarebbe necessario! In questo caso la paura del parto veicola altre paure, profonde, relative all’infanzia che si riacutizzano durante la gravidanza e che sfociano avvicinandosi al momento della separazione dal bambino.

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La paura del parto, a prescindere dalla sua intensità, può presentarsi con  caratteristiche  diverse in base alle varie fasi del parto.
Nella prima fase, detta prodromica, caratterizzata dalla perdita del tappo mucoso, dalle contrazioni preparatorie e dall’eventuale rottura del sacco amniotico, l’apprensione della donna (soprattutto se primipara), riguarda la sua capacità di riconoscere i segnali di inizio del travaglio e di decidere quando sia il momento di recarsi in ospedale.
Nella seconda fase, dilatatoria, caratterizzata dalle contrazioni che fanno appianare e dilatare il collo dell’utero, la maggiore paura riguarda la propria reazione al dolore. La soglia di percezione varia da donna a donna, quindi è inutile basarsi sull’esperienza altrui!
Per controllare questa paura è assai utile conoscere la dinamica delle contrazioni e apprendere tecniche di respirazione che permettano di “lasciarsi andare” per assecondarla evitando di contrastarla.
Nella terza fase, espulsiva, caratterizzata da contrazioni che richiedono un comportamento più attivo della donna, la paura è legata alle sensazioni di perdita del bambino vissuto come parte di sè con cui si era convissuto per nove mesi. Per quanto questo momento sia intensamente desiderato, può far riemergere paure di separazione legate alla propria infanzia che possono influire negativamente sulla dinamica del parto.
Nella quarta fase, del secondamento, viene espulsa la placenta.
Per certe mamme la gioia dell’incontro con il bebé è affievolita dalla difficoltà a riconoscerlo come il piccolo su cui avevano fantasticato per nove mesi e dalla paura di non riconoscersi nel ruolo di madre. Questo può costituire un primo segnale della sintomatologia depressiva che si può sviluppare in seguito.

 (M. Marcone)

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