Bambino della fantasia, bambino della realtà

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L’attesa di un figlio non inizia al momento della fecondazione: ogni donna la vive più o meno consapevolmente fin dalla più tenera infanzia (anche se potrà realizzarla o evitarla solo in età adulta) e la esprime attraverso i giochi con le bambole (o il loro rifiuto).
Come la bambina sceglie la bambola a cui fare da mamma, così la donna adulta, quando resta incinta, si costruisce nella fantasia l’immagine del bambino che vorrebbe avere e inizia a  investirla affettivamente.
Il piccolo non viene immaginato come un embrione,  di pochi millimetri e dalle forme appena abbozzate, in via di formazione. Di solito la mamma lo immagina come se fosse  un bebè già formato, con tratti fisici e psichici ben definiti: il sesso, il colore degli occhi e dei capelli, il carattere.

Bambino della fantasia, bambino della realtà



Dopo la nascita tuttavia quel bambino dovrà  lasciare il posto a quello della realtà, su cui spostare l’investimento affettivo.  Come ben sa chi lavora in sala parto, questo processo non sempre risulta facile per tutte.
Per chiarire meglio cosa avviene nella donna quando vede finalmente il suo bambino, si possono prendere in considerazione due diversi parametri che veicolano i sentimenti che prova:  la similitudine del bebè con l’immagine elaborata durante la gravidanza e la corrispondenza tra l’affetto per il piccolo che faceva parte di se stessa e per il neonato.
Se la madre prova fin dal primo istante per il bambino che ha appena partorito gli stessi sentimenti d’amore che aveva per quello della fantasia, anche in mancanza di continuità rappresentazionale (ci può essere un forte gap tra le due immagini) il rapporto si può sviluppare su basi solide e positive, che fanno presupporre che sarà in grado di svolgere il suo ruolo, di accudirlo senza particolari difficoltà.
Cosa capita invece, se le prime sensazioni che alcune donne provano verso il neonato sono completamente diverse, anche se c’è continuità di immagine tra il bambino fantasticato e quello reale? Se manca la capacità di provare affetto per il neonato, che è percepito come un estraneo, uno sconosciuto che ha preso il posto, ha sostituito, quello che per tanto tempo  era stato l’oggetto dei pensieri materni? Se la madre dimostra, attraverso la discontinuità affettiva, di non riconoscerlo?
E’ possibile ipotizzare che nel dopo parto ci potrebbero essere delle difficoltà, in quanto il non riconoscimento del figlio dipende dal non essere ancora riuscite ad elaborare il “lutto” per la perdita del bambino della propria fantasia. Finchè questo passaggio non viene effettuato infatti risulta difficile essere in grado di rivolgere l’affetto verso il bambino della realtà. Tuttavia, se la mamma non si nasconde questa difficoltà iniziale, se ne prende coscienza e si dedica con calma, senza pregiudizi, a osservare il suo bebè per conoscerlo per quello che è e non per quello che credeva fosse, più facilmente riuscirà a capirne i desideri, a decodificarne i messaggi, dunque  ad entrare in sintonia e accudirlo con maggiore piacere, senza colpevolizzarsi del ritardo con cui è avvenuto l’investimento affettivo.

Dott. Marcella Marcone   
wwwmarcellamarcone.it



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