Il linguaggio non verbale per comunicare coi bebé

Nessun commento

In cosa consiste il linguaggio non verbale che si usa per comunicare con i neonati 


Quando ci si avvicina a un neonato, viene spontaneo rivolgersi a lui come se fosse già in grado di capire quello che gli si dice. 
In realtà ci vogliono vari mesi prima che arrivi a decodificare il significato delle parole, mentre fin dall’inizio della sua vita è in grado di comprendere il “linguaggio non verbale”, cioè quello fatto di caratteristiche che l’adulto spesso non prende in considerazione e che sono invece fondamentali per la comunicazione coi bebé.

Il linguaggio non verbale per comunicare coi bebé


Si tratta di tutti quegli aspetti comunicativi che coinvolgono:

1) il sistema paralinguistico che non deve essere confuso con il significato delle parole che vengono pronunciate. Infatti il discorso che il genitore rivolge al bambino (a volte in risposta alle sue vocalizzazioni) si differenzia da quello con cui comunica con un altro adulto sotto diversi aspetti:
-       l’intonazione è più lenta, chiara, acuta
-       viene usato un numero limitato di vocaboli, legati soprattutto alla situazione concreta che il piccolo sta vivendo (per esempio si ripete il nome del giocattolo in uso in quel momento)
-       il ritmo è più melodico
-       le pause sono riempite da interiezioni di gioia, stupore, approvazione

2) il sistema cinesico che riguarda la comunicazione espressa dalla postura, dai movimenti del corpo, dalla gestualità, dallo sguardo che si rivolge al bambino. Si tratta di aspetti non razionali, che spesso tradiscono lo stato emotivo della persona che pur cerca di celarlo e che si riflette su come il bambino viene tenuto in braccio, accarezzato, da come si stabilisce o no il contatto visivo. Da tutto questo si può capire perché, fin da quando sono piccolissimi, i bambini stanno volentieri con certe persone più che con altre: se percepiscono a livello corporeo la tensione di chi li tiene in braccio o li tocca, provano sensazioni di insicurezza che li spaventano e li portano facilmente al pianto.


3) la prossemica, ossia la maggiore o minore vicinanza consentita all’altro senza entrare in stato di fastidio, che a volte per il bambino causa stati di panico se una persona sconosciuta gli si avvicina troppo.

Il bambino è una cartina di tornasole che mette in evidenza lo stato emotivo profondo di chi lo accudisce e anche di chi lo avvicina.
Questo dovrebbe far riflettere le mamme che si sentono incapaci di gestire i momenti di difficoltà del proprio figlio. Il suo malessere si presenterebbe meno sovente e si risolverebbe più facilmente se fossero consapevoli che il loro stato d’animo, quando si occupano di lui, emerge attraverso il linguaggio non verbale che solo un lavoro profondo su se stesse è in grado di modificare.


cfr. L. Murray Le prime relazioni del bambino, Cortina

(dott. M. Marcone - www.maternita360.it)

Nessun commento

Posta un commento

Grazie per aver lasciato un tuo commento, sarà pubblicato il prima possibile!

Mamma aiuta Mamma