Bambini e attaccamento

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Il legame di attaccamento dei bambini



Il legame affettivo che il bambino stabilisce con il genitore (in primis con la madre) nel primo anno di vita costituisce la ‘relazione di attaccamento’, fondamentale per il suo sviluppo e modello per le relazioni che instaurerà in seguito. Come sostiene lo psicanalista britannico J. Bowlby (1907-1990) che elaborò questa teoria, l’attaccamento si basa sull’accudimento emotivo, oltre che fisico, dato al bambino da chi lo accudisce in una relazione stabile e continuativa e si manifesta attraverso tre situazioni caratteristiche:
  • ricerca della vicinanza con la figura di attaccamento. Quando inizia a camminare il piccolo in genere sta vicino alle figure verso cui prova attaccamento. La capacità di allontanarsi da esse varia in base a diversi parametri: l’età, il carattere, il grado di sviluppo, lo stato di salute, la situazione.
  • ricerca di una ‘base sicura’. Se il bambino si sente in pericolo tende non solo ad avvicinarsi ma ad aggrapparsi al genitore, a cercarne il contatto per superare il momento di défaillance grazie a una base sicura, da cui poter ripartire alla scoperta di ciò che gli sta attorno.
  • protesta per la separazione. Se il bambino viene staccato dalla figura di attaccamento protesta con pianti, urla, calci, morsi che hanno la funzione di punire il genitore, di fargli capire che non vuole altre separazioni.
Bambini e attaccamento

Lo studio di questi aspetti ha permesso alla psicologa canadese M.  Ainsworth (allieva di Bowlby) di studiare l’interazione madre bambino attraverso una procedura standardizzata (Strange Situation) e valutare la qualità dell’attaccamento che viene considerato:

  • sicuro se permette al bambino di affrontare con serenità le nuove esperienze: dapprima stando a stretto contatto col genitore, poi poco per volta acquisendo fiducia per allontanarsi e esplorare l’ambiente circostante, con la certezza che il genitore è lì, pronto a dargli conforto se qualcosa dovesse spaventarlo. La funzione del genitore è quindi di essere una ‘base sicura’, stabile per il bambino che può lasciarla perché sa di poterla ritrovare in qualsiasi momento se qualcosa lo destabilizza. È utile sottolineare che il bambino che vive una relazione di attaccamento sicuro manifesta il desiderio di potersi muovere in autonomia. Resta attaccato al genitore solo nei momenti in cui si sente più vulnerabile (se non sta bene, se si fa male, se è spaventato). Per esempio dimostra interesse per un ambiente nuovo o per un estraneo finché il genitore è presente. Se si allontana il suo comportamento cambia: il piccolo lo cerca, piange, manifesta liberamente il suo sconforto che si placa al riapparire del genitore, a cui si avvicina, in cerca di contatto fisico e di consolazione. Poi, come si sente rassicurato, riprende tranquillamente le sue occupazioni.
  • insicuro evitante se basato sulla mancanza di fiducia del bambino nella capacità di conforto e di sostegno del genitore. La manifestazione di scarso disagio per la separazione, spesso considerata espressione di autonomia, nasconde invece un aumento di stress (come dimostrano vari studi). Il piccolo che sente il genitore poco presente, poco disponibile a soddisfare i suoi bisogni di attaccamento non lo cerca per superarlo.
  • insicuro ambivalente se il bambino manifesta una forte angoscia per la separazione dalla madre. Quando la ritrova ha un comportamento ambivalente verso di lei: passa da un contatto fisico molto stretto (che indica il suo desiderio di non perderla più) a momenti in cui la tratta con rabbia come per punirla di averlo abbandonato.
  • insicuro disorganizzato se caratterizzato da comportamenti ‘confusi’ che il bambino mette in atto al momento della riunione col genitore (fare movimenti stereotipati, raggomitolarsi, dondolarsi, restare paralizzati)
Il tipo di attaccamento che il piccolo instaura col genitore dipende dalla capacità del caregiver (di solito la madre) di trasmettergli serenità e sicurezza. È perciò importante che la madre sia consapevole dei suoi stati d’animo e non tema di mettersi in discussione nel caso in cui si renda conto di non essere in grado di assolvere a questo compito.


(dott. M. Marcone)

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