I bambini prodigio nel mondo del Cinema: star talentuose o anime perdute? Origini e storia dei piccoli attori.

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Quando si parla di attori bambini automaticamente si pensa a tutti quei piccoli artisti che hanno fatto un incredibile successo durante l’infanzia e poi sono finiti in rovina. Eppure non è sempre così: questo luogo comune è stato negli anni enfatizzato dai media, che ci hanno bombardato di paragoni, foto del prima e del dopo, parallelismi rocamboleschi per acuire un pregiudizio che non corrisponde alla realtà assoluta. Basta scavare un poco la superficie per rendersi conto con poco sforzo che il mondo artistico è troppo vario per rinchiudere tutti nella falsa credenza che vuole gli ex baby attori come persone in rovina.

I bambini hanno fatto parte del mondo dello spettacolo sin dagli albori, adeguandosi alle parti più problematiche e incarnando ruoli eterogenei. Un tempo, infatti, i ragazzini interpretavano i ruoli femminili a teatro, quando ancora alle donne non era concesso recitare. Si trattava per lo più di adolescenti che non avendo ancora i tratti marcati e il timbro di voce tipicamente maschile, riuscivano a calarsi nella parte più facilmente, camuffandosi perfettamente anche agli occhi degli spettatori.



Per vedere comparire in scena dei veri e propri infanti però, dobbiamo aspettare i primi anni del Novecento, quando grazie alla letteratura, il popolo ha cominciato a spostare le proprie attenzioni sui più piccoli. In quel periodo sono state riadattate e interpretate opere come Peter Pan di Barrie, Le avventure di Alice nel Paese delle Meraviglie di Carroll e il Piccolo Lord di Burnett. Grazie ad esse, i bambini sono riusciti finalmente a trasformarsi nei protagonisti assoluti dei racconti: lo sguardo per la prima volta volge verso il loro universo, i loro sogni e i loro desideri. Di conseguenza, è necessario che siano loro personalmente a calcare la scena. In questo clima particolarmente favorevole, in cui il pubblico è bendisposto ed attento alla sfera dell’infanzia, anche il cinema promuove i primi interpreti minorenni, divenendo lo strumento più efficace per mettere in evidenza la capacità di adattamento e il talento spontaneo tipici della fanciullezza. È così che nasce il termine ‘’bambino prodigio’’ e viene assegnato ai bimbi-attori più capaci. Durante il periodo delle due guerre, il fenomeno spopola e spesso viene utilizzato lo schema della fabula, in cui i piccoli  commedianti recitano prevalentemente la parte di poveri orfanelli che  solo dopo aver superato diverse difficoltà conquistano il tanto agognato lieto fine.
Gli spettatori sembrano gradire l’escamotage tecnico e restano incollati allo schermo a piangere, sperare e gioire con essi. L’ingenuità infantile funziona ed il primo a rendersene conto e sfruttare questo nuovo approccio è Charlie Chaplin, che attraverso i suoi numerosi cortometraggi mette in luce le peculiarità dell’infanzia anche negli aspetti meno poetici.



 In Italia l’attività teatrale infantile si manifesta differentemente: sono perlopiù i figli dei circensi ad esibirsi, per racimolare qualche soldo e sfuggire alla fame. Nel 1900 i bambini quindi recitano per necessità e sopravvivenza e questo purtroppo rende il terreno fertile per la speculazione. Passeranno decenni prima che qualcuno sollevi il problema. Affinché il fenomeno scoppi e si dilaghi dobbiamo aspettare gli anni Trenta quando inizia ad esibirsi l’enfant prodige per eccellenza: Shirley Temple. È in assoluto la prima bambina a ricevere compensi pari a quelli delle più grandi star di Hollywood, divenendo una diva vera e propria e dimostrando capacità attoriali degne di un adulto. La famosa ‘’riccioli d’oro’’ si è trasformata nel tempo in un’icona dello spettacolo radicandosi come fenomeno nella cultura di massa e divenendo la protagonista di eccezionali opere di marketing. È proprio in seguito alla sua ascesa artistica che iniziano le controversie e le baby star si fregiano di cattiva fama. Allo smodato successo seguono tantissime polemiche riguardo all’innocenza delle movenze e degli atteggiamenti dei divi fanciulli e nello spettatore per la prima volta si insinua il dubbio che qualcosa non quadri. Parallelamente iniziano le perplessità sulla liceità dello sfruttamento dell’immagine dei minori e il termine ‘’bambino prodigio’’ prende un significato negativo. Le aziende produttrici vengono accusate di sfruttare i piccoli in quanto animi remissivi e facilmente manipolabili.
Le giovani stelle vengono dipinte come piccoli adulti in miniatura che scimmiottano le azioni dei grandi e si lasciano modellare per compiacere il pubblico, che assapora la debolezza altrui e si nutre dell’incanto infantile ormai perduto. La polemica investe i genitori e ci si interroga sulle loro responsabilità: il lavoro dei bimbi inizia per volontà propria o per rifocillare i sogni infranti di mamme e papà che non ce l’hanno fatta?



Ad avvalorare questa tesi vi sono le numerosissime cause intentate dagli artisti che, una volta adulti, hanno accusato i propri familiari di averli sfruttati economicamente. Il patrimonio infatti deve essere gestito necessariamente dai genitori ed è difficile stabilire la linea di confine tra il prendersi cura e l’approfittarsene. Anche la cinematografia stessa contribuisce a convalidare il pregiudizio, basti pensare al celebre film di Luchino Visconti ‘’Bellissima’’ in cui Anna Magnani interpreta il ruolo della madre agguerrita che tenta in ogni modo di inserire la figlia nell’ambito artistico.
Ancora oggi, sono numerosi gli articoli, i programmi tv e le trasmissioni che spingono in tal senso, mostrando al pubblico morbose ricerche sulla vita dei divi mignon e sul loro successivo cambio di routine. I tanti suicidi che si sono susseguiti hanno poi alimentato il mito ed hanno agevolato il diffondersi nella popolazione dell’idea che la carriera cinematografica rovini l’infanzia dei piccini e precluda loro una vita serena.
Nonostante le diatribe, i bambini nel mondo del Cinema funzionano e, seppure la dolcezza e la remissività risultano artificiali come le risate di sottofondo nelle sit-com, gli spettatori ne sono ammaliati ed empatizzano con loro.
La tenera età contribuisce a renderli malleabili, simili ad un foglio bianco su cui poter imprimere con l’inchiostro le performance e, di conseguenza, rende più semplice il potenziamento delle attitudini di base. I ragazzini sprigionano il proprio genio inconsapevolmente e, forse proprio per questa incoscienza, hanno un’indole più mite degli adulti e sono straordinari nell’adattarsi ed esercitarsi. I preconcetti verso questa categoria l’hanno penalizzata così tanto da condizionare gli artisti stessi che finiscono con il pensare di avere già bruciato la propria chance nell’infanzia e di non poter meritare il bacio della fortuna una seconda volta, dando vita loro stessi al cliché del personaggio caduto in rovina che si lascia andare. Amati oppure odiati, geni talentuosi o marionette gestite da mani sapienti, gli attori bambini dividono l’opinione pubblica, confermando ancora una volta l’idea secondo cui generalizzare è impossibile: è solo il talento a fare la differenza.

Anastasia Cicciarello

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